C’era una volta una mamma, e con lei il suo bambino. Lei era una donna forte, una “donna di apertura”: erano i primi decenni del ‘900, la Legge Basaglia del 1978, quella che ha determinato la chiusura dei manicomi, era ancora un obiettivo distante da raggiungere, ma solo a livello istituzionale. Nel cuore di tanti, la volontà di superare la logica manicomiale c’era già da tempo, insieme alla voglia di agire e dimostrare che un modo nuovo di comprendere la disabilità era possibile.
E così Maria Serra, iniziò a Sassari la sua rivoluzione. Aprì le porte di casa ai bambini con disabilità della zona, affinché potessero giocare insieme al suo bambino con disabilità.
Non voleva muri, ma porte aperte. Non voleva un posto dove poterli nascondere alla società, voleva un luogo dove poter offrire assistenza, servizi e opportunità a contatto con la comunità. Voleva che tutti avessero il diritto di essere liberi, così nel 1955 fonda Opera Gesù Nazzareno (Ge.Na), una struttura dove le regole per rapportarsi alla disabilità sono – ancora oggi – rispetto e affetto.Intorno agli anni ’70, mentre Eunice Kennedy Shriver negli Usa fondava Special Olympics (1968), alla Ge.Na. un educatore altrettanto lungimirante, Francesco Gaias, introduceva lo sport unificato: bambini senza disabilità giocavano insieme a persone con disabilità col fine non di vincere, ma di mettersi in gioco.
Cinquant’anni fa, quest’ultima poteva essere un’innovazione difficile da accettare: la società era abituata a collegare la disabilità ai manicomi, ma come insegna Special Olympics (e prima ancora Maria Serra) la rivoluzione inizia in campo, per poi proseguire fuori.Oggi, Ge.Na. è una delle realtà parte del Team Sardegna. “Nonna ha visto il nostro ingresso in Special Olympics Italia” racconta Michele Marras, nipote di Maria Serra, attualmente direttore generale. “Non potevamo non sposare gli obiettivi del movimento, dove l’atleta è al centro e l’inclusione è il fine”.
Fino a qualche anno fa c’era anche lui tra quei bambini della squadra Ge.Na.; per lui, quel passato è “la mia fortuna”.
Per noi, questa storia, è vita.Grazie Maria Serra per aver dato a tante e tanti, la possibilità di sentirsi pienamente vivi.
